Ha chiuso il 21 il primo Opg

Pubblicato il 24-12-2015 da Luca Balducci - ( 2230 letture )

 

A distanza di quasi quattro anni dalla svolta legislativa, di fatto, però, gli opg italiani hanno continuano a “ospitare” carcerati perché le Regioni, che avrebbero dovuto realizzare i nuovi centri, sono in ritardo coi tempi. Dopo lungaggini burocratiche e resistenze politiche, le cose stanno per sbloccarsi e oggi chiude i battenti definitivamente il primo ospedale psichiatrico giudiziario italiano, quello di Secondigliano, in Campania. Gli ultimi detenuti ricoverati verranno trasferiti nell’ultima residenza sanitaria costruita dalla Regione, a San Nicola di Baronia. Gli enti locali hanno ricevuto circa 50 milioni di euro per edificare ed organizzare i nuovi centri che, per legge, non possono ospitare più di 20 persone. In Italia al momento ce ne sono 22, un numero insufficiente ad assorbire i 689 detenuti con problemi psichici ospiti degli opg alla data dell’uno aprile di quest’anno, giorno in cui formalmente i cosiddetti manicomi giudiziari hanno smesso di esistere non potendo più accogliere nuove persone e gli eventuali nuovi condannati o destinatari di misure cautelati. I detenuti ricollocati nelle Rems sono circa 455, restano ancora ricoverate negli opg, in attesa del completamento dei centri, 167 persone. Tra le Regioni “virtuose”, seppure in ritardo rispetto alla legge, prime a dotarsi di Rems in Italia, l’Emilia Romagna, la Sicilia e il Lazio. Fanalino di coda il Veneto, che è stato commissariato per la realizzazione dei programmi di attuazione della legge. E ora diffidato a costruire le strutture, pena il peso dei costi sulle casse dell’ente locale. “Siamo davanti a una svolta anche culturale – dice Roberto Piscitello, magistrato e direttore generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – perché gli internati con problemi mentali saranno trattati soltanto da un punto di vista sanitario e non penitenziario. Ci troviamo davanti all’abbandono del concetto di custodia tradizionale, tanto che le strutture sono di diretto controllo del Servizio Sanitario Nazionale e non del Dap”. In ambienti giudiziari si vedono, invece, più le ombre che le luci di una riforma che, dicono alcuni magistrati, “non ha tenuto conto della realtà”. “Ora ci troviamo a dover gestire anche casi di detenuti ritenuti pericolosi – spiegano – che non possiamo mandare in carcere e neppure nelle Rems perché sono sature”.

                                                       


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