Pubblicato il 22-01-2024 da Carlo Scovino - ( 1319 letture )
OMOCAUSTO: una storia dimenticata. Il passato rischia di tornare
Quando si parla di Giornata della Memoria (27 gennaio) si fa di solito riferimento a milioni di vittime ebree. Stiamo parlando di sei milioni tra uomini e donne, di tutte le età, assassinati dalla follia nazista. Ma gli ebrei non furono le uniche vittime di Hitler e del suo progetto politico. Vanno anche ricordati comunisti, rom, testimoni di Geova, “asociali” e persone omosessuali. Tutto ciò che rientrava nell’etichetta della diversità – con la connotazione di “pericoloso” – finiva nei lager tedeschi.
Lo sterminio di gay e lesbiche, durante quegli anni, è stato definito “omocausto” per analogia linguistica. Si calcola che nella Germania nazista furono fino a 15.000 i prigionieri omosessuali. I morti furono dai 6.000 ai 9.000. La persecuzione contro i gay era disciplinata dal Paragrafo 175, che rendeva illegale l’omosessualità. Tale legge fu addirittura inasprita dal nazismo. I prigionieri omosessuali venivano condotti nei campi di sterminio ed erano riconosciuti per mezzo del triangolo rosa. Qui, spesso, venivano discriminati dagli altri prigionieri, che li disprezzavano per il loro orientamento sessuale.
La condizione dei maschi gay era tra le più dure: destinati a lavori pesantissimi, anche con lo scopo di “riconvertirne” la natura, furono al centro di esperimenti scientifici. “Emblematico e? il caso di un medico delle SS, il danese Carl Vaernet, attivo nel lager di Buchenwald. Nel folle tentativo di "guarire" i prigionieri omosessuali, egli impiantò in diverse cavie una "ghiandola sessuale artificiale" a base di dosi massicce di testosterone. L’esperimento non solo fallì, ma portò alla morte l’80% delle cavie. È stato calcolato che “la mortalità dei triangoli rosa” fu una delle più alte tra le varie categorie di internati: il 60% dei prigionieri morì nei campi di sterminio, “la maggior parte dei quali durante il primo anno di internamento”.
Anche le donne lesbiche finirono nei campi di sterminio, come a Ravensbruck. Qui vennero catalogate come asociali. Avevano addosso un triangolo nero. Stavano insieme a “senza fissa dimora, malate di mente, persone con disabilità, testimoni di Geova, oppositrici politiche, attiviste della resistenza, comuniste, zingare, vagabonde, prostitute, mendicanti, ladre". Categorie tutte considerate di razza inferiore e reiette che andavano corrette, punite ed estirpate dalla società per evitare che contagiassero gli ariani. Inoltre, nel campo le donne subirono sevizie, esperimenti medici, torture, sterilizzazioni e aborti, esecuzioni sommarieoltre a ritmi estenuanti di lavori forzati.
Nella Giornata della Memoria, dunque, ricordiamo tutte le vittime del nazismo. Ma andrebbe fatto di più: andrebbe ricordato come si è arrivati a quei genocidi. Non avremmo avuto sei milioni di morti se non ci fosse stato un lungo antisemitismo, la narrazione demonizzante del popolo ebraico. Narrazione che affonda le sue radici in ragioni di natura religiosa e politica, insieme. La stessa narrazione demonizzante, ancora oggi, è riservata proprio alla comunità LGBTI+.
Il disprezzo contro gay, lesbiche, transgender, ecc., è motivato sia da questioni di natura religiosa (l’omosessualità come peccato), sia da questioni d’ordine morale e politico: la famiglia intesa solo come unione di uomo e donna, le conseguenti legislazioni discriminatorie e altro ancora sono tutti ingredienti di una narrazione che vuole gettare discredito sulle persone LGBTI+.
La Giornata della Memoria, insomma, non deve essere solo ricordo di una tragedia passata ma monito per altre che potrebbero avverarsi. Perché la memoria coincide con l’idea che abbiamo del presente. L’oblio, invece, con il passato che rischia di tornare e che è già in corso, fuori dai nostri confini, ma dentro la stessa Europa.
Negli anni che vanno tra il 1933 e il 1945 almeno 100.000 uomini furono arrestati come omosessuali, di cui circa la metà furono condannati; la maggior parte di questi ha trascorso il periodo di detenzione assegnato nelle prigioni regolari, ma tra i 5 e i 15.000 hanno finito con l'essere internati nei vari campi. Solo a partire dagli anni '80 del '900 si è cominciato a riconoscere anche questo episodio di storia inerente alla più ampia realtà della persecuzione nazista. Nel 2002 infine il governo tedesco ha chiesto ufficialmente scusa alla comunità LGBTIQ+.
Prima dell'avvento del Terzo Reich, Berlino veniva considerata una città liberale con molti locali gay, nightclub e spettacoli di cabaret. C'erano molti ritrovi dove turisti e residenti eterosessuali e omosessuali potevano praticare il crossdressing.
Il primo movimento omosessuale tedesco venne rapidamente eliminato con l'avvento al potere del partito nazionalsocialista di Adolf Hitler. L'ideologia nazista reputò l'omosessualità incompatibile con i propri ideali considerando che le relazioni sessuali dovessero “[...] essere finalizzate al processo riproduttivo, essendo loro scopo la conservazione e il prosieguo dell'esistenza del Volk [il popolo], piuttosto che la realizzazione del piacere dell'individuo”.
Ernst Röhm, un uomo che Hitler stesso percepì come una possibile minaccia alla propria supremazia, comandante della prima milizia nazista, le Sturmabteilung (conosciute come SA), esibì in modo discreto la propria omosessualità fino al 1925. Nel tempo però Hitler rivide questa posizione quando sentì minacciato il proprio potere da parte di Röhm. Il 30 giugno 1934, durante la “Notte dei lunghi coltelli”, Hitler ordinò l'epurazione di coloro che lo minacciavano. Tra questi figurava Röhm e il suo omicidio diede a Hitler il pretesto per compiere ulteriori azioni contro le SA al fine di renderle innocue e docili al suo potere. Dopo aver consolidato la sua posizione di leader ed essere diventato Cancelliere, Hitler incluse la categoria degli omosessuali tra coloro che dovevano essere inviati nei campi di concentramento durante la Shoah.
Nel 1936 Heinrich Himmler, comandante delle SS, creò l'Ufficio Centrale del Reich per la lotta all'omosessualità e all'aborto. Il decreto costitutivo di questo nuovo ufficio recitava “[...] Le attività omosessuali di una non trascurabile parte della popolazione costituiscono una seria minaccia per la gioventù. Tutto ciò richiede l'adozione di più incisive misure contro queste malattie nazionali”.
Ovviamente i rapporti omosessuali, considerati “sterili” ed “egoistici” vennero visti come un tradimento alle politiche demografiche di potenziamento del popolo non essendo i gay in grado di riprodursi e perpetuare così la razza ariana. Per la stessa ragione anche la masturbazione venne considerata dannosa al Terzo Reich, seppur trattata con minor severità.
Quegli omosessuali che non dissimulavano il proprio orientamento sessuale o che non erano disposti a contrarre matrimoni di convenienza incominciarono così ad essere "raccolti" e inviati a tempo indeterminato - come metodo curativo - a duri campi di lavoro in campagna. Più di un milione di tedeschi sospettati di "attività omosessuali" sono stati presi di mira, di cui almeno 100.000 sono stati arrestati, interrogati e processati e non meno di 50.000 condannati alla carcerazione. Altre centinaia di uomini sono stati sottoposti a castrazione o sterilizzazione obbligatoria dietro ordine diretto dei tribunali.
I gay soffrirono di un trattamento particolarmente crudele all'interno dei campi di concentramento; questo può essere attribuito sia al duro atteggiamento delle SS di guardia nei confronti dei gay, come pure agli atteggiamenti omofobici ben radicati nella società nazista. Alcuni morirono a seguito di feroci bastonature, in parte effettuate da altri deportati.
I medici nazisti utilizzarono spesso i gay in esperimenti "scientifici" atti a scoprire il "gene dell'omosessualità" e poter così guarire i futuri bambini ariani che fossero stati omosessuali.
A partire dal 1936 vennero indicati con un triangolo rosa (era un po' più grande rispetto agli altri triangoli attribuiti ai diversi deportati, affinché fosse ben visibile anche da lontano), come il colore usato dalle ragazzine dell’epoca, che serviva per ridicolizzare la mascolinità. La posizione degli internati omosessuali fu fin dall’inizio tra le peggiori: in molti casi essi costituirono l’ultimo gradino della gerarchia del lager. Oggetto di violenze immotivate, trattati con particolare disprezzo dai nazisti e spesso anche dagli altri detenuti, i deportati omosessuali vennero destinati a lavori particolarmente duri, nella convinzione che in tal modo potessero riacquisire la loro mascolinità perduta. Heinz Dörmer, ex deportato omosessuale, ha dichiarato:
“Quanto più spesso e più forte (le SS) ci picchiavano, tanto più aumentava la considerazione per loro. (…) Eravamo considerati una razza infame ed essi potevano fare di noi tutto ciò che volevano. Se avessero ucciso qualcuno di noi sarebbero stati addirittura lodati e noi dovevamo stare a guardare”.
Heinz Heger, un altro ex deportato omosessuale, ricorda:
“un omosessuale che entrava in ospedale aveva pochissime probabilità di uscirne vivo. All’ospedale i deportati col triangolo rosa servivano da cavie per le ricerche e gli esperimenti medici che il più delle volte finivano con la morte”.
Le lesbiche che non vollero o non poterono nascondersi dovettero pagare un caro prezzo. A partire dal 1936 molte furono rinchiuse in ospedali psichiatrici e costrette a seguire programmi di rieducazione. Per tante altre si aprirono le porte dei campi di sterminio. Non si sa con esattezza quante furono le lesbiche internate nei campi di concentramento e di sterminio. Nella maggior parte dei casi il loro internamento avveniva con motivazioni ufficiali diverse dall’omosessualità: generalmente venivano classificate come “asociali”, come prigioniere politiche, come ebree, come comuniste, in tanti casi come prostitute.
La fine della guerra e la liberazione dal nazismo e dal fascismo cambiarono ben poco la condizione degli omosessuali. Per molti, la liberazione dei campi di sterminio non significò affatto il ritorno alla libertà. Al contrario, accadde che molti triangoli rosa passarono dai campi di sterminio al carcere dove avrebbero finito di scontare la pena inflitta in base al Paragrafo 175: le autorità alleate ritennero che il castigo imposto fosse meritato e pertanto dovesse essere scontato fino in fondo. A nessun omosessuale, inoltre, venne concesso un indennizzo per quello che aveva subìto. La Repubblica Federale Tedesca non abolì il Paragrafo 175: si limitò ad alleggerirlo degli inasprimenti approvati dal regime nazista. Venne riformato nel 1969 ma verrà abrogato definitivamente solo nel 1994. Nel frattempo, 50.000 omosessuali verranno condannati per il proprio orientamento sessuale.
Anche i libri di storia rimossero la memoria dell’Omocausto. Molte associazioni di ex deportati, inoltre, rifiutarono (e alcune rifiutano tuttora) di considerare tali gli ex triangoli rosa. Il cammino per il riconoscimento degli omosessuali come vittime della follia nazista fu lungo.
Quando i cancelli di Auschwitz e degli altri lager vennero abbattuti, molti dei superstiti marchiati con il triangolo rosa preferirono tacere il vero motivo del loro internamento, diventando vittime senza voce e senza giustizia.
Il ricordo della Shoah non riguarda solo gli ebrei ma l'intera umanità. Ricordare e commemorare le vittime della Shoah non significa affattotrascurarealtri genocidi, né tantomeno stabilire inutili ‘priorità’ tra stermini e dolori di un popolo piuttosto che dialtripopoli.
Per maggiori approfondimenti su questo tema si invita il lettore a fare riferimento alla cospicua e numerosa letteratura di riferimento.
BIBLIOGRAFIA
Scovino C., Fredy Hirsch. Un educatore ad Auschwitz. Omocausto: una storia dimenticata, La Meridiana, Molfetta (BA), 2023 (il libro ha ricevuto il patrocinio di ANEP e i diritti d’autore verranno interamente devoluti all’associazione)
Notizia presente in: Omocausto
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