Negli orfanotrofi del mondo

Pubblicato il 01-07-2015 da Luca Balducci - ( 1989 letture )

 

Andrea Caschetto, venticinque anni, siciliano, laureato in Media e Marketing con un master in Cooperazione internazionale per popoli sotto-sviluppati alla Cattolica di Milano. Durante l’università, grazie alle borse di studio e al lavoro di volontario in diverse onlus, Andrea ha iniziato a viaggiare, ma la vera svolta è arrivata a dicembre: “Finito il master avrei voluto partire per un giro del mondo in sedia a rotelle per dimostrare che una persona con disabilità non è una persona disabile, volevo dimostrare che una persona su una sedia a rotelle non è altro che una persona seduta. Lo volevo fare perché dopo l’operazione sono stato costretto a starci su una sedia a rotelle, e ho capito il fastidio di essere guardato in un certo modo, il pregiudizio, la pena…”. Ma quel viaggio non è andato in porto. “Ho pensato a cosa mi sarebbe piaciuto fare, e mi è balenata un’idea: testimoniare che i bambini, tutti i bambini, malgrado le culture differenti, gli scontri e le guerre, sono uguali. Così ho deciso di investire i miei risparmi in un viaggio alla scoperta dei più piccoli”. E dove farlo se non negli orfanotrofi delle periferie del mondo? “Sono partito a febbraio per lo Srilanka, perché avevo un’offerta per il volo - 150 euro da Roma a Colombo - poi sono stato in India. A seguire il Nepal, appena prima del terremoto, poi la Tahilandia, la Cambogia, il Vietnam. Poi, facendo scalo a Dubai, sono giunto in Brasile e da lì sono arrivato in Paraguay. Seguiranno Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia... E poi chissà”.

In ciascun Paese Andrea vive in orfanotrofi barattando il proprio lavoro con vitto e alloggio: “Ho ridotto le spese a zero e ottenuto in cambio tantissimo. Ovviamente non faccio il turista, non visito i luoghi, mi dedico solo ai bambini, mangio e dormo con loro, mi sposto quasi sempre con mezzi pubblici”. In cambio dei pasti e di un letto Andrea svolge attività di musica, disegno, teatro, inglese “a volte li porto al mare, li faccio giocare a pallone o, più semplicemente, gli dedico il mio tempo. L’attenzione e l’affetto sono le cose più importanti che si possa dar loro”. “Anche perché - spiega Andrea - molti orfanotrofi trattano i bambini come fossero in un canile: li lasciano tutto il giorno davanti alla televisione, li chiamano solo per i pasti, nessuno si relaziona con loro durante la giornata. Un orfanotrofio in India ospitava ben 44 bambine in un bilocale minuscolo. In un altro orfanotrofio, in Nepal, i bambini venivano lasciati totalmente soli tutta notte. Due ragazzi di diciannove anni avevano il compito di controllarli. Erano pagati 10 euro al mese”. Ma, per fortuna, non tutte le realtà sono così degradate: “Ho vissuto per dieci giorni in un campus per bambini disabili, creato da una signora olandese, che ospitava 230 bambini. Questi erano divisi in 23 case e ogni abitazione aveva una responsabile che i bambini chiamavano mamma. Lì i ragazzi avevano la giornata piena: yoga, sport, lezioni, giochi, danza… erano davvero sereni. A me non restava altro che improvvisare spettacoli di cabaret alla sera! E’ stata un’esperienza bellissima che mi ha insegnato tanto: dal linguaggio dei non udenti alla lettura per i non vedenti”. “Qui, negli orfanotrofi, vedo adulti e bambini che non possiedono quasi nulla e che non vedono l’ora di offrirti quel poco. Si pensa sempre che povertà sia sinonimo di criminalità, degrado, tristezza, ma non è così. I poveri, lontano dalle grandi città, non sono altro che angeli che non possiedono cose materiali. Non sono cattolico ma non saprei come definirli se non così”. 

 

                                                                                

 

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