Chiudere dei corsi di laurea?

Pubblicato il 14-07-2015 da Luca Balducci - ( 1986 letture )

 

Pubblichiamo alcuni parti dell'articolo comparso in giornata su QS in merito alla corretta programmazione in ambito universitario.

"Il sistema della formazione in medicina, di base e specialistica, garantisce ogni anno l’inserimento di migliaia di validissimi professionisti che collocano il nostro Ssn ai primissimi posti su scala globale. Allo stesso tempo, però, non mancano le criticità, legate soprattutto all’elevato numero di studenti che si laurea in Medicina, mentre tra diminuzione delle risorse finanziarie e blocco del turn over gli accessi alle scuole di specializzazione devono attenersi a limiti ben precisi, generando così un meccanismo a imbuto. Il ministro dell’Istruzione e dell’Università, Stefania Giannini, intervenendo al seminario ‘La formazione di base e specialistica del medico in Italia’ svoltasi presso la sala Zuccari del Senato, ha ricapitolato ed elogiato il lavoro del Governo. “Abbiamo la soddisfazione di aver avviato un percorso che garantisce la corrispondenza più precisa possibile tra numero di laureati in medicina e quantità di posti nelle scuole di specializzazione”. Altro aspetto nodale riguarda l’accesso alla facoltà di Medicina. “Bisogna mettere in campo uno sforzo congiunto, in modo da affiancare qualità e selezione. Il test funziona, ma stiamo anche correggendo il tiro per migliorare. Stiamo inserendo quest’anno per la prima volta, a partire da oggi a mezzogiorno, sul portale Universitaly, un test di orientamento e di autovalutazione, quindi senza incidenza sul punteggio, che funga da bussola per i ragazzi e che consenta di calmierare il numero di giovani che vogliono intraprendere la professione medica”. Non manca, ancora una volta un accenno al modello alla francese, di cui il ministro già in passato aveva spesso tessuto le lodi. “Lo ritengo sempre molto valido; resta tuttavia ancora aperto un grosso problema: 1 su 5 degli immatricolati italiani vuol fare il medico. L’idea sarebbe che la cifra di circa 70mila iscritti al test, una vera e propria onda anomala, scendesse a una massa critica fisiologica di 25mila, al massimo 30mila. In questo caso sarebbe possibile un processo di selezione durante i primi anni, proprio come avviene in Francia”. Dal Ministero della Salute arriva addirittura la richiesta di un intervento più radicale. “La sostenibilità del sistema non può prescindere da una corretta programmazione – avverte Rossana Ugenti, direttore generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane presso il Ministero della Salute – In quest’ottica ci sono alcuni corsi di laurea che non si possono non chiudere”. Imprescindibile lavorare sul merito, ma anche sul metodo delle questioni. “Da qui passa un’efficace definizione dei fabbisogni. Bisogna quindi intervenire su alcune modalità operative: troppo spesso i soggetti coinvolti non interagiscono tra loro e non si confrontano, finendo così per parlare linguaggi differenti. Esistono infatti miriadi di banche dati che non vengono incrociate e non sono messe a sistema”. La parola chiave è quindi “programmazione”. Se manca, “rischia di saltare tutto il sistema – ammonisceAntonio Benedetti, Presidente della Conferenza Permanente delle Facoltà e delle Scuole di Medicina – Servono regole ferree che non vengano cambiate ogni anno: questo è il punto fondamentale. Contestualmente è importante, come sta avvenendo, indirizzare i nostri ragazzi verso l’autovalutazione: è nostro dovere instillare tra i giovani la cultura dell’orientamento. Il tutto all’interno di un quadro che mantenga standard qualitativi uguali per tutti gli specializzandi”. Organizzatrice e anima del seminario è stata la senatrice Emilia Grazia De Biasi, presidente della Commissione Igiene e Sanità, che ha auspicato “la nascita di un impianto legislativo nuovo, considerando che stiamo attraversando una fase di transizione e di revisione del profilo del medico. Bisogna quindi mettere a sistema tutte le risorse a disposizione e i soggetti in gioco, all’insegna di scelte condivise che riguardino elementi essenziali come la responsabilità professionale e la deontologia”. Per immortalare la complessità del quadro Angelo Mastrillo, professore a contratto presso l’Università di Bologna, ha fornito alcune cifre da cui si desume che la proporzione tra fabbisogno di specializzandi e laureati in Medicina, alla luce di un turn over medio pari circa al 2%, ha tutto sommato retto sino al 2006. E’ dal 2007, anno spartiacque che iniziano a incepparsi gli ingranaggi: la differenza tra specializzandi e laureati 6 anni prima inizia a oltrepassare stabilmente il -10%: nel 2007 -14,4%, nel 2008 -14,6, nel 2009 -12,5%, nel 2010 -12,8%. “A partire dal 2008 – spiega – la situazione non è più sotto controllo: le Regioni incrementano il proprio fabbisogno e iniziano a lievitare progressivamente i posti disponibili per la facoltà di Medicina”. Per Mastrillo la prospettiva auspicabile “sarebbe tornare a circa 7mila laureati ogni anno. In questo modo le specializzazioni assorbirebbero in maniera sostenibile poco più di 6mila unità e il rimanente si dirigerebbe fisiologicamente all’estero. Devo comunque riconoscere che quest’anno, grazie all’apporto del Ministero della Salute, la situazione è stata riequilibrata”. Ma gli scenari futuri celano pesanti incognite: continuando di questo passo, nel 2020 si registrerà un’esplosione di laureati tra gli iscritti 6 anni prima, che salirebbero a 15.015 rispetto ai 9.951 del 2019.

                                                                                                 

 

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