Riforma 3° settore

Pubblicato il 10-09-2015 da Luca Balducci - ( 1915 letture )

 

 Sulla proposta di legge di riforma del Terzo Settore riprende il dibattito al Senato (ddl S. 1870). Il termine per presentare gli emendamenti in commissione referente (Affari costituzionali) scadeva il 7 settembre. Ci aspettiamo, e abbiamo sollecitato, una modifica del testo che, insieme a Cisl e Uil, giudichiamo ancora insoddisfacente, in particolare per ciò che riguarda l’impresa sociale. Nonostante gli annunci del Presidente del Consiglio, il dibattito sulla riforma è stato povero e per lo più circoscritto agli addetti ai lavori. Una sottovalutazione incomprensibile per un settore di attività sociali ed economiche che interessa milioni di cittadini, occupa direttamente 680 mila dipendenti e 270 mila lavoratori esterni, e in cui operano oltre 4 milioni mezzo di volontari. Un settore che riguarda la natura del nostro welfare e quindi diritti sociali da garantire, il ruolo del volontariato, la partecipazione attiva e responsabile dei cittadini come componente essenziale della stessa democrazia. E' sulla disciplina dell’impresa sociale che il disegno di legge finora ha introdotto le modifiche più rilevanti, e non certo positive. Anche se va riconosciuto il fatto che sull’impresa sociale serve intervenire: non è “decollata” dopo la sua istituzione con il Decreto Legislativo 155 del 2006 e anche allora fu colpevolmente trascurato il tema del lavoro. Come detto nel documento unitario Cgil Cisl Uil, nel testo in discussione al Senato “la disciplina sull’impresa sociale ne rafforza il ruolo commerciale - indebolendone così le finalità sociali - attraverso la scelta di derogare al principio generale di non lucratività, tipico del terzo settore, prevedendo la possibilità di remunerazione del capitale e di distribuzione degli utili e la possibilità di accedere a forme di raccolta di capitali a rischio”. Si allarga così la possibilità di agire per imprese profit, con il rischio irrompano logiche di mercato nei servizi del welfare, già duramente colpiti dai tagli alla spesa per la protezione sociale. La Camera ha cercato di ridurre questo rischio, introducendo limitazioni analoghe a quanto previsto per la cooperazione, ma i vincoli posti sono troppo deboli e non stringenti.  
Come giustamente scrive don Armando Zappolini per il Cnca “La proposta di legge … investe e si concentra sull'impresa sociale, un soggetto giuridico che, nell'idea del legislatore, sia capace di sintonizzarsi con il profit e per il profit a cui appaltare rilevanti risorse e attività dello stato sociale. Con questa impostazione finiscono per avere un ruolo marginale il volontariato, l'associazionismo e in particolare la nostra storia di cooperazione sociale, che rappresenta un patrimonio positivo per tutto il paese e che invece dovrebbe essere utilizzata come fondamento per la ricostruzione di un nuovo patto sociale. Non possiamo accettare la visione paternalistica che unisce l'enfasi della 'bontà del dono' alla logica del profitto, dell'impatto sociale con la distribuzione degli utili!". Altrettanto forte e largamente condivisibile è la denuncia di Luca Fazzi nel suo intervento “Le gambe corte dei nuovi rottamatori”. Il punto è proprio questo: perché offrire alle imprese con finalità di lucro le stesse agevolazioni e possibilità delle imprese sociali? Queste ed altre le considerazioni di Stefano Cecconi riportate oggi in un esaustivo articolo comparso su QS in giornata il cui auguri è che le osservazioni vengano prese in esame e valutate.

                                                                                                   

 



 

 

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