Recovery

Pubblicato il 13-10-2015 da Luca Balducci - ( 2723 letture )

 

"Mentre alcuni terapeuti tradizionali potrebbero essere descritti come persone che adottano l'atteggiamento ‘io lo so, io te lo dico’, la posizione che io sostengo è ‘tu lo sai, dimmelo’”. Il volume "Recovery" curato dagli psichiatri Antonio Maone e Barbara D'Avanzo per Raffaello Cortina editore, si apre con una frase di John Bowbly sul lavoro degli operatori della salute mentale che curano chiedendo la partecipazione attiva del pazienteIl libro di Maone e D'Avanzo illustra e analizza - attraverso riferimenti agli innumerevoli studi e esperienze finora realizzati sul tema - la pratica della recovery, che si è affermata negli ultimi anni prima nel mondo anglosassone e recentemente si sta diffondendo anche in Italia. Il concetto di recovery, che si può tradurre con il termine "riprendersi" più che con "guarigione" sta proprio nel "tentare di restituire ciò che ogni psichiatra rischia di sottrarre nel suo entrare in scena nella vicenda esistenziale del paziente", ovvero "il diritto di scegliere, la possibilità di ricostruirsi una vita". Come evidenziato nella prefazione di Massimo Cosacchia, presidente della Wapr (World Association for Psychosocial Rehabilitation), i due curatori del volume hanno per la prima volta risposto all'esigenza di chiarificazione di un fenomeno che si è affermato negli ultimi anni e che ha "attraversato e nutrito le esperienze di deistituzionalizzazione", in attuazione, tra l'altro, del pensiero di Franco Basaglia.

Quasi il 70% dei pazienti psichiatrici può “riprendersi” la vita  
Nel primo capitolo di “Recovery” Maone riassume gli studi realizzati nell'ultimo secolo sulla possibilità di cura delle persone che soffrono di disagio mentale: “Se analizziamo i dati per definire il numero di casi che, a distanza di molti anni dal primo ricovero non hanno più sintomi e non assumono farmaci e hanno al massimo una limitazione in una delle aree del funzionamento (lavoro, vita indipendente e relazioni sociali) – afferma - si ottengono percentuali che vanno dal 53 per cento al 68 per cento”.

Oltre la psichiatria: non è necessaria la guarigione completa  
In più parti nel libro si afferma che per avere una vita soddisfacente e per realizzarsi come persone non è necessaria la "guarigione" completa dai sintomi della malattia mentale, ma la capacità di "riprendersi". Il secondo capitolo del volume, intitolato "La vita, oltre la psichiatria" e' scritto da Wilma Boevink una paziente psichiatrica che ha fatto del proprio male un oggetto di studio e che racconta, attraverso episodi della propria vita, sia la ghettizzazione sociale e l'umiliazione sottile determinata dall'istituzionalizzazione dei pazienti, sia la possibilità di una vita "nonostante la malattia" offerta da esperienze improntate alla recovery.

                                                                         

 

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