Educatori professionali socio sanitari e socio pedagogici: un Disegno di legge frettoloso e parziale

Pubblicato il 22-09-2016 da Comunicazione ANEP - ( 6511 letture )

 

È approdato in Senato, approvato in testo unico alla Camera dei Deputati il 21 giugno 2016, il ddl “Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e pedagogista”, che ha come prima firmataria Vanna Iori del Partito Democratico. Il provvedimento al Senato è denominato S.2443 ed è stato assegnato alla 7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) in sede referente, in attesa di iniziare il suo iter di trattazione.

La lettura del testo unificato e la relazione che accompagna l'atto approvato alla Camera, con i pareri espressi dalle diverse Commissioni consultate, sono utili per capire la razionalità che sottostà la proposta e alcune anomalie che è utile mettere in evidenza. Proviamo a vederne alcune.

La finalità dichiarata dall'atto è quella di riordinare la professione di Educatore e di pedagogista. Effettivamente si tratta di un campo disorganizzato da tempo, con la presenza di più figure, riconosciute e non, a fronte di una richiesta del mercato del lavoro in discreta espansione. Attualmente in Italia vi sono infatti:

  1. la figura dell'educatore professionale, definita da un Decreto del ministero della Salute (520/98) e inserita a tutti gli effetti nell'offerta formativa delle Scuole di Medicina e Chirurgia delle Università italiane; tale figura ha un proprio codice ISTAT nella nomenclatura e classificazione delle unità professionali;
  2. la figura dell'educatore sociale e culturale, senza un riconoscimento del profilo, ma presente nell'offerta formativa delle Scienze della formazione delle Università italiane;
  3. numerosi operatori con titoli precedenti o senza titolo, in attesa di un riconoscimento di equipollenza o equivalenza (L 42/99), assunti presso le cooperative sociali, associazioni e fondazioni di promozione sociale.

L'intento del DdL quindi, è lodevole ma entra subito in contraddizione perché, seppur richiamandone la necessità, rimanda a provvedimenti successivi l'unificazione della figura dell'Educatore professionale e del suo assetto formativo. Nel testo si invitano infatti le Università a costituire dei Corsi di Studio interdipartimentali e interfacoltà, nascondendo però a un lettore disinformato che l'attuale assetto formativo universitario non consente tale possibilità seppur auspicabile. E quindi una prima domanda sorge spontanea: ma chi, se non un legislatore, che in ragione dell'art 147 della Costituzione esercita il potere dello Stato in materia di definizione di profili, deve fare questa unificazione? E perché non adesso?

La domanda è evidentemente retorica perché la vera finalità della proposta di legge non è quella di mettere ordine nei profili esistenti, ma salvare il precario percorso di laurea L19 per Educatori sociali e culturali che tanta insoddisfazione procura ai suoi iscritti che una volta laureati non trovano un profilo professionale disponibile nel mercato del lavoro. Da qui il sospetto che ci sia più fretta di legittimare un percorso formativo che dare un ordine duraturo alla figura professionale.

La seconda considerazione è di merito delle competenze individuate per i diversi profili dal provvedimento. Vi è nel testo una evidente sproporzione di dettaglio tra l'EP socio pedagogico e il pedagogista, rispetto all'EP socio sanitario che rende la proposta debole perché non riordina la materia ma si limita ad accreditare la figura che oggi risulta indefinita, ovvero quella dell'Educatore sociale e culturale. Inoltre si osserva che le competenze individuate per le diverse qualifiche siano quantomeno discutibili: come si fa a frammentare, sin dalla formazione di base, la funzione educativa in una componente socio pedagogica da un'altra socio sanitaria? La pedagogia (ironia della sorte) ci insegna che l'educazione ha una forte connotazione di ricomposizione verso un percorso di trasformazione e crescita dell'individuo. L'operazione di divisione tra profili educativi, alla base della formazione universitaria, non è rispondente quindi alle competenze educative fondamentali necessarie per il lavoro!

La terza considerazione riguarda la denominazione dei profili del provvedimento. Questa assume il sapore della beffa per gli Educatori professionali italiani che da trent'anni hanno un proprio riconoscimento giuridico (il primo decreto sull'EP, infatti è datato 10 feb 1984). La scelta che opera il legislatore è quella di entrare in un campo dove già opera un professionista riconosciuto, (l'EP ex DM 520/98) impossessarsi del proprio nome e relegare il “proprietario legittimo” al campo di azione socio sanitario, lasciando la parte preponderante della competenza educativa all'Educatore professionale socio pedagogico e al pedagogista. E' come se uno vede sedere una persona sul proprio divano di casa e poi si ritrova seduto su una sedia, fuori dalla propria abitazione.

Infine una parola sul livello di partecipazione che il DdL attesta nella relazione al Parlamento: in Italia, l'unica Associazione riconosciuta a rappresentare gli EP è l'ANEP (Associazione nazionale Educatori Professionali – Associazione rappresentativa ai sensi del DD 28 luglio 2014) che però non è stata invitata in audizione nell'iter di definizione; se a questo aggiungiamo il fatto che anche le OO.SS. non sono state consultate (vi sono dei pesanti riflessi, dal provvedimento, sul mondo del lavoro e sui lavoratori) viene il dubbio che gli estensori della proposta abbiano selezionato con cura le organizzazioni rappresentative che esprimevano esclusivamente pareri favorevoli: questo non è un bel segnale di democrazia.

Quale proposta. La Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, esaminando il testo del DdL Iori, auspica la realizzazione di una figura unica di EP e un percorso formativo che possa prevedere specializzazioni successive in ambito socio pedagogico o socio sanitario. Questa è una vera proposta di razionalizzazione di una situazione disordinata: perché non procedere da subito in questa direzione. Questa innovazione legislativa obbligherebbe le Università a pensare ad un percorso unico con articolazioni interne al Corso di studi e possibili ponti tra i due percorsi di specializzazione.

È auspicabile quindi, che la 7a Commissione al senato nel trattare il testo, corregga gli evidenti squilibri del testo licenziato alla Camera a partire dalla proposta di unificazione suggerita dalla Commissione Lavoro della Camera dei deputati che potrà certamente essere approfondito e ben definito con il coinvolgimento delle cosiddette “parti sociali” che meglio conoscono la realtà del lavoro al di fuori dell'accademia.

 

Fonte: Lavoro e professione - Francesco Crisafulli sul "Sole 24 Ore"

 

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